Il primo a innamorarsene è Goethe, durante la tappa vicentina dell’ineluttabile viaggio in Italia che ha intrapreso. Quell’arco di legno flessibile -così lo descrive- che pesa sulle spalle delle contadine, alle cui estremità pendono due ceste colme di ortaggi, merita un ricordo. Il Sommo non sa che sotto i Berici quel sostegno si chiama bigòlo, strumento di lavoro quotidiano dei contadini. Ma coglie subito che il quadretto della popolana che porta gli ortaggi al mercato fa molto Arcadia, un must dell’epoca fra gli intellettuali europei. Parlare di Italia, Arcadia e contadini a quel tempo è un po’ come dire “andiamo alla ricerca del tempo e delle radici perdute”, anche se Proust deve ancora nascere. Eccole, le radici, che spuntano a Vicenza. È il 23 settembre del 1786: Goethe ferma con un disegno l’immagine della giovane vicentina, dopo aver visitato quel mercato in centro che tanto lo affascina.
Ed è l’unico ritratto di una persona fra tanti schizzi di architetture e monumenti palladiani. Un motivo c’è. Avido di umanità, dopo dieci anni passati a corte a Weimar tra politica, salamelecchi e ingessature diplomatiche, a Vicenza Goethe si sente in libertà: si traveste, perfino, per abbassare il suo rango sociale e girare indisturbato tra i contadini in piazza delle Erbe, per gustarsi la vita, ammirare le popolane (era un grande fan delle donne vicentine, specie delle more: l’ha messo iscritto che lo intrigavano anche più delle veronesi) e cogliere l’attimo fuggente di quell’humus italico di cui suo padre Caspar gli aveva fatto una testa così, riempiendogli la casa di Francoforte di souvenir, libri, quadri e testimonianze del suo viaggio, in Italia e a Vicenza, compiuto 46 anni prima. Non ci sono prove, naturalmente, che quelle ceste di ortaggi immortalate da Goethe in piazza delle Erbe contenessero del broccolo fiolaro di Creazzo. È possibile. Certo è che ancora nell’Ottocento la produzione di broccolo fiolaro è di 150 mila cespi all’anno: è un prodotto conosciuto e rinomato in tutta la provincia. Certo è che dopo quell’occhiata fulminante del poeta tedesco, per un altro secolo e mezzo ceste uguali a quelle che colpiscono così tanto Goethe continueranno a pesare sulle spalle dei contadini fra Creazzo e Vicenza. Dieci chilometri all’andata, altrettanti al ritorno. È un sistema ingegnoso, bilanciato, che consentiva loro di sopportare ottanta o anche cento chili di prodotti, trasportati rigorosamente a piedi, magari aiutati dall’immancabile asino o dal carretto: altro che ricerca del tempo perduto, la loro Arcadia del broccolo i contadini vicentini l’hanno misurata con molto sudore e poche scarpe, finché non è arrivata la bicicletta negli anni Quaranta a dare sollievo, e finché negli anni Cinquanta il boom economico non ha regalato le prime “Vespe” e – miracolo! – anche la Cinquecento che ha rivoluzionato i costumi. Con la bici e la “Vespa” il bigòlo va in pensione, almeno come supporto per le grandi distanze. Ne prendono il posto saccàre, ossia delle collane fatte con i rami di salice (in dialetto sono le stroppe dell’albero) nei quali le donne intrecciavano la parte dura del broccolo. Queste collane…vegetali, con le piante di broccoli a pendere dai sostegni, sono preferite dai contadini alle più moderne e razionali cassette: i broccoli di Creazzo, speciali anche in questo, non saranno mai venduti in cassetta. E queste collane, anche tre o quattro assieme, i contadini le indossavano un po’ come facevano Coppi e Bartali con le camere d’aria incrociate sul petto, negli anni ruggenti del ciclismo, quello senza sponsor e auto al seguito. Poi si inforcava la bicicletta (più avanti si salica sulla “Vespa”) e ci si dirigeva al mercato a contrattare il prezzo. C’era anche chi si orientava per la vendita “porta a porta”, ma l’espansione edilizia era ancora lontana e, con poche case, la politica del “door to door”
non assicurava granché di introiti. Ma, nell’Italia degli anni Cinquanta-Sessanta che sta cambiando pelle, anche quella del broccolo fiolaro diventa tutta un’altra storia: il mercato non si tiene più in centro a Vicenza, ma negli stand della nuova struttura alle Cattane, com’era chiamata la periferia del quartiere San Felice, tutta intonsa campagna pre-urbanizzazione. È un’altra storia perché cambiano i gusti dei consumatori, trionfa la bistecca e intanto si popolano le serre, che consentono coltivazioni senza problemi di stagione e di prodotto. Il broccolo fiolaro appassisce (non è più un integratore dell’economia familiare contadina, basata sulla triade mucca, frumento e orto, così come l’agricoltura si isterilisce nella struttura economica dell’Italia industriale) e rapidamente tramonta sulle tavole. La produzione, ridotta oggi a due coltivatori principali, Meggiolaro e Riva, piano piano diventa un quarto o un quinto rispetto ai tempi d’oro: 30-40 mila cespi all’anno. Tutto finito, dunque? No. Anzi, è vero il contrario. Come al solito, quando s’è toccato il punto più basso della parabola non si può che risalire.
E da qualche anno a questa parte una nuova attenzione s’è accesa attorno ai broccoli, compreso quello fiolaro: sono le riconosciute proprietà anti-cancro di questo ortaggio a farlo osservare sotto una luce diversa. Lo testimonia la Johns Hopkins University (la più antica università americana e fra le più autorevoli del mondo in campo medico) i cui scienziati hanno individuato nel 1992 nel sulforafane, proteina dello zolfo presente soprattutto nei broccoli, una forte risorsa per combattere i tumori. Qualche anno dopo, gli stessi ricercatori hanno annunciato che nei “germogli di tre giorni” del broccolo è presente una concentrazione da 30 a 50 volte più elevata di questo componente. Prove, dettagli e approfondimenti son rintracciabili agevolmente sul sito dell’università: www.jhu.edu. Non c’è, dunque, solo la dolcezza particolare del broccolo di Creazzo a renderlo speciale anche nella sua categoria. Ah, broccoli in inglese è “broccoli”: sarà una coincidenza oppure, come prediceva Mc Luhan sessant’anni fa, che viviamo orami nel “villaggio globale” della comunicazione, fatto sta che, almeno a livello linguistico il broccolo ha già uno status internazionale. A proposito di comunicazione. È curioso che uno tra i prodotti più tradizionali del Vicentino, liquidato in passato come “el magnar dei poareti”, apparentemente di poco significato anche gastronomico, stia vivendo una riscoperta che mette insieme prelibatezze alimentare e virtù salutistiche grazie proprio al più innovativo e moderno sistema di comunicazione e ricerca. Vale a dire Internet, che ha acceso uno spot di informazione nuova sui broccoli, amplificando le notizie sulle loro proprietà curative anti-tumore. Dunque si torna all’antico, alla tradizione ma con un valore aggiunto di innovazione. Non è cosa da poco. Che lo spazio e il tempo fossero circolari, nel senso che non scorrono linearmente ma passato e futuro sono intimamente (e misteriosamente) legati, ce l’aveva insegnato Eraclito e ce l’ha spiegato con una formula il grande Einstein. Nessuno, finora, avrebbe scommesso che questa lezione l’avremmo imparata…anche a tavola.
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